mercoledì 20 maggio 2009

La governance universitaria è una tigre di carta. Sulla forza dell'Onda e la violenza della crisi.

l'Onda è tornata ed è ancora più incazzata

Editoriale Uniriot (www.uniriot.org) - Che i media non siano più semplicemente al servizio della politica ma facciano politica, è ormai una verità assodata. Ma che perciò debbano anche farsi rappresentanti della genuina essenza di chi si oppone allo stato di cose presenti, ovvero dei movimenti, questo è un elemento nuovo. Così, dal Corrierone nazional-aziendale alla Stampa, nota “busiarda”, nel grande spazio conquistato dalle mobilitazioni contro il G8 di Torino i giornalisti non si limitano ad evocare i triti spettri maroniani del terrorismo e dunque ad invocare la mano pesante contro gli studenti, in quella spirale di “fobia anti-giovani” descritta da Lucia Annunziata proprio sul quotidiano di casa Fiat: si fanno interpreti del vero significato dell’Onda, tradito dal corteo del 19 maggio. Si mostrano addirittura dispiaciuti nel dover chiamare Onda quella manifestazione. Arrivano perfino a dichiarare una qualche proprietà sul logo, tale per cui possono attribuire l’etichetta a chi ne proseguirebbe il vero spirito: quello della proposta e non della protesta, della sostenibilità e non dell’incompatibilità, della rappresentanza e non dell’autonomia. Poco conta se i “buoni” sono poche decine e i “cattivi” molte migliaia. Nelle forme della produzione contemporanea, si sa, non c’è più misura. E, soprattutto, non c’è nessun imbarazzo a parlare nel nome di un’Onda astratta e disincarnata, per poter controllare e reprimere quella reale.

Già, perché questa è la grande vittoria della mobilitazione di Torino. Aver finalmente messo a tacere chi da mesi si affanna a parlare di riflusso e di fine di un ciclo, con l’unico obiettivo – nella classica veste della profezia che si autoavvera – di poter scongiurare il pericolo e catturarne il portato politico nei meccanismi della rappresentanza. Ma lungi dalla risacca, negli ultimi mesi l’Onda ha sedimentato i percorsi di autoformazione e costruito l’autoriforma, cifra paradigmatica di una nuova università. Sarebbe bastata un’occhiata all’età media estremamente bassa della composizione del corteo di Torino, con i molti studenti medi e dei primi anni di università arrivati da tutta Italia, per rendersi conto che autoriforma e conflitto non solo non sono alternative, ma sono una la condizione di possibilità dell’altro.

Ma chi esaurisce gli argomenti, è spesso costretto alla menzogna. A cui si aggiunge l’imbarazzo, in alcuni media di sinistra, per un’Onda che non si fa ridurre al vuoto simulacro dei buoni sentimenti, per incarnarsi invece in un desiderio collettivo e in un processo di lotta. Che rifiuta il ruolo di vittima, e afferma l’autonomia nel decidere sul proprio presente e sul proprio futuro. Che, in migliaia, resiste alle cariche di polizia e carabinieri, e compattamente e gioiosamente torna all’università per continuare a praticarvi l’autoriforma. E perché non soffermarsi, ad esempio, sui tanti abitanti di Torino che hanno lanciato dai balconi acqua e limoni ai manifestanti per proteggersi dalla pioggia di lacrimogeni, e hanno aperto i portoni per offrire loro rifugio dalla brutalità vendicativa della polizia? Non si tratta di simpatia verso la “meglio gioventù”: è la percezione di una crisi che è solo all’inizio, della fine di ogni illusione di mobilità sociale ascendente, dell’intollerabilità dell’ulteriore attacco ai salari e ai redditi di lavoratori e precari per salvare imprenditori, baroni e banchieri. È il rifiuto della politica dei sacrifici. È la forza dell’Onda Anomala: farsi terreno comune di una composizione sociale che non vuole pagare la crisi.

Ecco, è questo che spaventa governo e media di fronte a questo nuovo proletariato intellettuale: la capacità di parlare la lingua della parzialità e della generalizzazione. Ed è questo che spaventa l’opposizione, che pervicacemente persevera negli antichi errori che l’hanno portata nel coma vegetativo in cui oggi versa. Così, il Pd piemontese esprime la sua solidarietà alle forze dell’ordine, incurante del fatto che a guidarle fosse Spartaco Mortola, uno degli impuniti carnefici dell’irruzione alla scuola Diaz il 21 luglio 2001, promosso a questore vicario di Torino. Se l’opposizione vuole parlare di regime berlusconiano, abbia il coraggio di dire che la sua data di inizio non è la corruzione di Mills o la candidatura delle veline, ma il sangue di Genova. È quella la violenza da cui devono avere il coraggio di prendere le distanze, quella stessa violenza che Maroni e Pdl usano nei rimpatri dei migranti. La violenza di un sistema tanto più feroce quanto più è assediato in un castello medioevale. Se non troveranno questo coraggio, foss’anche quello della disperazione, dopo aver consegnato il governo del paese nelle mani della Lega e di Berlusconi sono destinati a sparire.

E quelle file e file di caschi che gli studenti avevano?”, chiederà sicuramente un bravo giornalista. C’è una legge dello Stato che ne impone l’obbligo per salvarsi la vita, e fronteggiare le cariche selvagge e il gas CS delle truppe di Mortola è sicuramente più pericoloso di qualsiasi scooter. Ma con quei caschi le migliaia di studenti e precari a Torino hanno difeso qualcosa di ancora più importante: non la democrazia di cui si vorrebbe affidare ai giudici la restaurazione, ma la democrazia che l’Onda sta inventando e praticando. Quella che parla di nuovo welfare, di reddito, di riappropriazione della ricchezza sociale. Prendere le distanze dalla violenza, significa appoggiare la forza costituente dell’Onda. Tutto ciò prima che – almeno per loro – sia troppo tardi.

Gigi Roggero

Nessun commento:

Posta un commento