Il 17, il 18 ed il 19 Maggio si terrà a Torino il g8 sull’università a cui parteciperanno tutti i rettori, compreso il nostro magnifico La Torre. I grandi dell’università come da loro abitudine vorranno decidere per noi. Decideranno come dovrà essere l’università nei prossimi anni, stabilendo la qualità del nostro sapere,i tempi della nostra vita e gli spazi della nostra socialità.
I summit internazionali sono sempre stati simbolo dell’economia rampante e priva di scrupoli.
Oggi, però, la crisi dell’economia globale mette definitivamente fine al processo neoliberista, mostrando il paradosso per cui le stesse persone e gli stessi governi che fino a pochi mesi fa imponevano la liberalizzazione di ogni settore economico, oggi richiedono a gran voce il ritorno della regolamentazione statale. I g8 così come tutti i summit globali cercano, adesso, una soluzione condivisa per l’uscita dalla crisi, ponendosi come un fantomatico governo mondiale, nonostante che le loro decisioni siano state totalmente delegittimate da migliaia di persone che da Genova in poi hanno dimostrato la loro contrarietà.
Tutto questo avviene mentre da Atene a Parigi passando per Londra e Barcellona un’intera generazione di studenti e precari si sta ribellando contro un sistema universitario che pretende di trattare il sapere e la cultura come se fossero semplici merci di scambio, inserendo, quindi, a pieno titolo l’università nelle logiche di mercato.
L’imposizione di un inesistente “sapere neutro” in questi ultimi anni non è stato altro che la legittimazione del capitalismo liberista come unico modello di sviluppo e di conoscenza.
Infatti le università hanno perso la loro funzione di centri di libero confronto per diventare luoghi di formazione precaria.
Si sta imponendo un modello di università virtuosa che importa dalle aziende il meccanismo dei costi e benefici e vede nei tagli e nel risparmio un nuovo metodo di costrizione.
Il pareggio di bilancio è diventata la chiave per diminuire la qualità del sapere chiudendo corsi ritenuti improduttivi e ottenendo, inoltre, tramite l’immissione di fondi privati di finanziamento, la sottomissione della ricerca al mercato. In questa ottica vanno inseriti tutti i meccanismi di inclusione differenziali (3+2, numero chiuso, master post laurea) chiari tentativi di fornire al mercato del lavoro figure professionali con differenti classi di laurea e quindi più ricattabili.
Questo paradosso vive anche nella nostra università.
Oggi più che mai bisogna pensare globalmente e agire localmente.
Anche da noi, infatti, la quadratura del bilancio dell’ateneo rappresenta il fine ultimo a cui qualunque decisione o progetto viene subordinato.
La strutturazione dell’università su queste linee guida fa si che il nostro ateneo, come tutti gli altri, non possieda quel ruolo di propulsore culturale e motore del cambiamento sociale che dovrebbe invece caratterizzarlo. I saperi appresi nei nostri cubi non vengono utilizzati per il cambiamento del territorio ma per formare precari che saranno nella maggior parte dei casi costretti ad emigrare, o nel caso decidano di rimanere costretti ad una vita da super precario meridionale.
L’autonomia universitaria è stata utilizzata da baroni e rettori per consolidare il proprio potere, distruggendo la possibilità di far nascere una didattica cogestita più vicina alle esigenze degli studenti e del territorio. Le uniche ricadute dell’ateneo nel tessuto urbano cosentino sono quantificabili in termini di appalti, affitti e palazzi, una economia di rapina che sta distruggendo nel tempo l’ambiente circostante.
Quella che abbiamo di fronte, insomma, è una situazione paradossale, in cui il rettore ed i baroni ratificano, utilizzando l’autonomia locale, secondo i propri interessi e dopo pretendendo di rappresentarci negli incontri internazionali.
Abbiamo combattuto questo modo di prendere le decisioni a livello locale,così come abbiamo manifestato a livello nazionale per contrastare la riforma Gelmini, non ci fermeremo nemmeno davanti al summit globale.
Non lasciamoli decidere per noi. È ora di sognare ….e quando gli uomini e le donne veri dicono “è ora di sognare” è come se dicessero “è ora di lottare”.
L’alba regna e tutto è ancora da fare, da sognare, da lottare…
I summit internazionali sono sempre stati simbolo dell’economia rampante e priva di scrupoli.
Oggi, però, la crisi dell’economia globale mette definitivamente fine al processo neoliberista, mostrando il paradosso per cui le stesse persone e gli stessi governi che fino a pochi mesi fa imponevano la liberalizzazione di ogni settore economico, oggi richiedono a gran voce il ritorno della regolamentazione statale. I g8 così come tutti i summit globali cercano, adesso, una soluzione condivisa per l’uscita dalla crisi, ponendosi come un fantomatico governo mondiale, nonostante che le loro decisioni siano state totalmente delegittimate da migliaia di persone che da Genova in poi hanno dimostrato la loro contrarietà.
Tutto questo avviene mentre da Atene a Parigi passando per Londra e Barcellona un’intera generazione di studenti e precari si sta ribellando contro un sistema universitario che pretende di trattare il sapere e la cultura come se fossero semplici merci di scambio, inserendo, quindi, a pieno titolo l’università nelle logiche di mercato.
L’imposizione di un inesistente “sapere neutro” in questi ultimi anni non è stato altro che la legittimazione del capitalismo liberista come unico modello di sviluppo e di conoscenza.
Infatti le università hanno perso la loro funzione di centri di libero confronto per diventare luoghi di formazione precaria.
Si sta imponendo un modello di università virtuosa che importa dalle aziende il meccanismo dei costi e benefici e vede nei tagli e nel risparmio un nuovo metodo di costrizione.
Il pareggio di bilancio è diventata la chiave per diminuire la qualità del sapere chiudendo corsi ritenuti improduttivi e ottenendo, inoltre, tramite l’immissione di fondi privati di finanziamento, la sottomissione della ricerca al mercato. In questa ottica vanno inseriti tutti i meccanismi di inclusione differenziali (3+2, numero chiuso, master post laurea) chiari tentativi di fornire al mercato del lavoro figure professionali con differenti classi di laurea e quindi più ricattabili.
Questo paradosso vive anche nella nostra università.
Oggi più che mai bisogna pensare globalmente e agire localmente.
Anche da noi, infatti, la quadratura del bilancio dell’ateneo rappresenta il fine ultimo a cui qualunque decisione o progetto viene subordinato.
La strutturazione dell’università su queste linee guida fa si che il nostro ateneo, come tutti gli altri, non possieda quel ruolo di propulsore culturale e motore del cambiamento sociale che dovrebbe invece caratterizzarlo. I saperi appresi nei nostri cubi non vengono utilizzati per il cambiamento del territorio ma per formare precari che saranno nella maggior parte dei casi costretti ad emigrare, o nel caso decidano di rimanere costretti ad una vita da super precario meridionale.
L’autonomia universitaria è stata utilizzata da baroni e rettori per consolidare il proprio potere, distruggendo la possibilità di far nascere una didattica cogestita più vicina alle esigenze degli studenti e del territorio. Le uniche ricadute dell’ateneo nel tessuto urbano cosentino sono quantificabili in termini di appalti, affitti e palazzi, una economia di rapina che sta distruggendo nel tempo l’ambiente circostante.
Quella che abbiamo di fronte, insomma, è una situazione paradossale, in cui il rettore ed i baroni ratificano, utilizzando l’autonomia locale, secondo i propri interessi e dopo pretendendo di rappresentarci negli incontri internazionali.
Abbiamo combattuto questo modo di prendere le decisioni a livello locale,così come abbiamo manifestato a livello nazionale per contrastare la riforma Gelmini, non ci fermeremo nemmeno davanti al summit globale.
Non lasciamoli decidere per noi. È ora di sognare ….e quando gli uomini e le donne veri dicono “è ora di sognare” è come se dicessero “è ora di lottare”.
L’alba regna e tutto è ancora da fare, da sognare, da lottare…
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